Di quanti destini straordinari si sono perse le tracce nei secoli? Di quante storie di cui
abbiamo smarrito memoria rimangono come unici e muti testimoni i luoghi in cui sono
segretamente avvenute: i tavolacci delle vecchie osterie, i muri scalcinati delle chiese, le algide
sale di tribunale, le celle conventuali, i manicomi, i bordelli, gli ostelli di santità e poi le valli
ombrose, i campi di grano, gli anfratti più silenti delle caverne?
Così, quando un bizzarro condannato a morte di nome Bargniff si siede sul ceppo dove dovrà
appoggiare il capo per ricevere il colpo ferale del boia e racconta le incredibili vicende di Maria
del Maté, la giovane musa ispiratrice dei carnevali di Milano e di Maddalena di Buziis, la
Madonna-strega dei baliaggi svizzeri, capita che nessuno gli creda. Perché il Bargniff è un
ladro, un truffatore, un volgare casciaball ed è bene che la sua vita sbandata finisca lì, nel
campo del Nebbiano, il giorno del Signore 12 novembre 1664; prima che qualcuno prenda per
buoni i suoi farneticamenti da ubriaco, prima che il mondo scopra che in un tempo indefinito di
fine Seicento, a cavallo tra il Ducato di Milano e le più impervie valli prealpine, un gruppo di
disperati e sognatori dava vita alla leggendaria Compagnia dei campi, e che uno spietato
manipolo di persecutori di streghe e creatori di sante avviava una caccia ottusa e feroce per
cancellarla dal mondo, insieme al piccolo Paradiso terrestre che era riuscita a creare tra i verdi
spiracoli della pianura che attraversa il confine.
Completando la trilogia iniziata con Il ladro di ragazze (2015) e proseguita con Latte e
sangue (2019), con Le ammaliatrici, ancora una volta Carlo Silini ci regala una narrazione
sorprendente e visionaria della storia nascosta, svelando la fine di un’era arcaica e selvaggia,
tra amori, vendette e perdizioni, col ritmo forsennato di un thriller che tiene i lettori incollati ad
ogni pagina. Un testo che commuove, agghiaccia, diverte, indigna e fa riflettere in una
luminosa via di mezzo tra l’opera buffa e la tragedia collettiva.
«Mí sun de Milán» esordì il Bargniff declamando il nome della sua città lentamente, con infinito rispetto,
pronunciando a stento la “a” e lasciando planare sugli astanti la magia che quella parola, Milán, poteva
esercitare sulla gente semplice di campagna, che nella capitale del Ducato non c’era mai stata ma di cui aveva
sentito narrare la magnificenza, i lussi e le stranezze dai compaesani che c’erano andati per lavoro come
facchini, venditori di marroni o – in tempo di peste – come monatti.
«So tutto del mondo, so niente di Dio. Ma ho conosciuto due donne speciali che mi hanno cambiato la
vita. Anzi. Se oggi sono qui ad attendere il colpo del boia è colpa loro, vaccaladra.»
Si fermò un attimo, forse per cercare con gli occhi qualcuno tra la folla. Probabilmente non lo trovò. Tirò il
fiato e guardando verso il cielo scosse la testa sconsolato.
«Signur, Signur! Ma proprio a me doveva capitare di incontrarle?» disse a una nuvola grigia che si spostava
sopra il Nebbiano. Poi tornò a gettare sguardi nel popolino, sputò di nuovo per terra e cominciò il suo
racconto.
«Le ho amate tutte e due. E tutte due le ho odiate. Facevano quell’effetto lì. Bastava guardarle che...» ma
non finì la frase.
«Una era una santa, l’altra una strega."
Carlo Silini
Editorialista e giornalista responsabile delle pagine di Primo Piano (approfondimenti) del
Corriere del Ticino, il maggior quotidiano svizzero in lingua italiana. Come inviato ha seguito,
tra le altre cose, la crisi albanese, la guerra in Kosovo e varie tornate elettorali italiane negli
anni Novanta. Sul piano locale ha curato reportages e inchieste sociali e culturali.
Nel 2015 pubblica “Il ladro di ragazze”, per la Gabriele Capelli Editore.
Nel 2005, 2015 e 2017 ha vinto il premio di “giornalista svizzero dell’anno” per la Svizzera
italiana, attribuito dalla rivista Schweizer Journalist.
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